copertina di Perfect Days
22 giugno 2024, 21:45 @ Arena Puccini

Perfect Days

(Giappone-Germania/2023) di Wim Wenders (123')

Hirayama conduce una vita semplice, scandita da una routine perfetta. Si dedica con cura e passione a tutte le attività della sua giornata, dal lavoro come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo all’amore per la musica, ai libri, alle piante, alla fotografia e a tutte le piccole cose a cui si può dedicare un sorriso. Nel ripetersi del quotidiano, una serie di incontri inaspettati rivela gradualmente qualcosa in più del suo passato.

  • Festival di Cannes 2023 a Kôji Yakusho per migliore attore;
  • Festival di Cannes 2023, premio della Giuria ecumenica.

“La cultura giapponese e lo straordinario senso del lavoro vengono raccontati attraverso le giornate, tutte identiche fra loro, di un addetto alle pulizie che, immerso in una Tokyo sovrastata dalla modernità, si ritaglia uno spazio tutto suo, privo di tecnologia, fatto di musicassette, libri tascabili e fotografia analogica.
È forse la semplicità a essere silenziosamente protagonista, non perché elogiata, ma piuttosto analizzata, vista come un approccio inconsueto alla vita di tutti i giorni, in netto contrasto con la normalità che Hirayama, personaggio principale del film, vede intorno a sé. La storia non si ferma a raccontare la sua routine, il paragone con le vite degli altri è reso possibile dagli incontri che fa ogni giorno, come quello del suo aiutante più giovane, Takashi, o quello di sua nipote Niko, due ragazzi che nonostante siano totalmente distanti dal modo di vivere di Hirayama, ne rimangono in qualche modo affascinati, al contrario di sua sorella, scettica e distante.
Nel raccontarci la vita di Hirayama, Wenders si mette alla ricerca del senso della vita, la routine che racconta sembra esser proposta come una soluzione, ce ne si rende conto minuto dopo minuto, quando l’affetto verso il protagonista si fa sempre più concreto, a tal punto che ai titoli di coda, sembra di conoscerne ogni cosa. Un’impresa non da poco.
Non è un caso che il continuo rimando a tutto ciò che è analogico, come le musicassetta e la fotografia in pellicola, l’assenza di tecnologia rallenta i ritmi di vita del protagonista, riempie i propri vuoti con la lettura e si guarda bene dal prendere in mano uno smartphone, tutto ciò appare come una critica velata alla modernità, specie quando mostra gli effetti sulle altre persone, che appaiono sì al passo con i tempi ma tremendamente superficiali.
Il finale, incredibile, ci pone di fronte ad un grande quesito: alla fine, Hirayama è felice o no?
Non si sa. Ed è questo il bello.
Il film non si può in alcun modo perdere, insegna la bellezza delle piccole cose, scatenando un grande senso di nostalgia, nonostante la storia sia ambientata nei giorni nostri, fa viaggiare con la mente fino ai tempi in cui la vita di Hirayama non era così fuori contesto, e vivere senza il superfluo era una scelta più semplice.”

Andrea Zedda, Vanity Fair

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