La dolce vita
(Italia-Francia/1960) di Federico Fellini (180')
Il soggetto di La dolce vita è apparentemente la café-society, il mondo vario e rutilante rinato sulle rovine della guerra e le miserie del dopo-guerra: il regno dei felici pochi che trascorrono la loro esistenza fra feste e crociere, scandali e follie. In realtà il film si offre come una drammatica allegoria sul deserto che sta dietro la facciata di un carnevale perpetuo. La definizione rischia di assumere un rilievo moralistico lontano dalle intenzioni dell’autore, che non si è posto altro obiettivo all’infuori di descrivere lo stato delle cose. E non importa se si affida a una vicenda disarticolata, che rinuncia ai trucchi e alle rime della drammaturgia tradizionale. La dolce vita si propone come il ‘diario notturno’ di un personaggio a mezza strada fra il gusto e il disgusto dell’ambiente che descrive. Un tipo qualsiasi, proprio come lo impersona con penetrante intuito Mastroianni: abbastanza sradicato per rischiare a ogni istante di perdersi, abbastanza sensibile per rivelare degli improvvisi soprassalti.
Tullio Kezich
La dolce vita fu una svolta importantissima nella mia carriera. Al ruolo arrivai nella maniera più convenzionale, più normale. Un famoso regista ti fa sapere che vuole vederti, Fellini in questo caso, tu vai a un appuntamento a Fregene perché quella è la sua spiaggia preferita, ecco, così... Io mi ci recai con l’avvocato, per darmi un po’ un tono, mi ero detto: “Hai visto mai che ‘sto regista famoso...? E allora fammici andare con Ferrara, l’agente!”. Fellini, dandomi subito del tu, fece: “Ho piacere che sei venuto: ho pensato a te, sai, a me non importa la bravura di un attore, mi servirebbe la tua faccia qualunque. Anche se De Laurentiis vuole Paul Newman, a me non interessa, voglio un volto qualsiasi come il tuo”. Lì per lì rimasi molto imbarazzato perché, anche se sapevo benissimo di avere un volto come diceva lui, questa sua uscita era brutale.
Allora, anche perché avevo l’avvocato Ferrara accanto chiesi: “Ma potrei leggere il copione prima di decidere?”. Lui ribatté: “Sì, come no”, e chiamando Ennio Flaiano che stava sotto un ombrellone, gli disse di portarmelo. Dopo un minuto Flaiano arrivò con un mucchietto di fogli bianchi su cui non c’era scritta neppure una parola. Solo c’era un disegno fatto da Fellini che rappresentava il mare, le onde, dentro le quali nuotava un uomo con un fallo lunghissimo che arrivava fino al fondale, circondato da un gruppetto di sirene che danzavano. Io divenni rosso, verde, ero molto imbarazzato, ebbi la netta sensazione che Federico si fosse preso gioco di me, di questo attore che per giunta arrivava con l’agente e che, quindi, aveva proprio sbagliato sistema. Così per salvarmi dalla situazione, dissi: “Va bene, molto interessante, faccio il film”.
Marcello Mastroianni
Introduce Giovanni Egidio