L'ora di religione
(Italia/2002) di Marco Bellocchio (105')
Introduce Marco Bellocchio
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Bellocchio lo credevo più cattivo, nervoso e invece mi ha aiutato tanto. Io ho bisogno soprattutto di affettuosità, anzi si può dire che faccio l’attrice non tanto per danaro o per avere una piscina o una villa, ma per ricevere maggiore affetto. E lui mi ha dato affettuosità sul set e questo ha fatto un po’ calmare questa ansia che mi domina.
Piera Degli Esposti
Dice molto bene Marco Bellocchio quando spiega che il suo nuovo film, L’ora di religione, nasce da un’immagine: la visita di un sacerdote all’ignaro pittore Ernesto Picciafuoco, per annunciargli che è in corso il processo di beatificazione di sua madre. L’immagine è talmente nitida e spiazzante che da essa il film ‘nasce’ anche per lo spettatore, facendolo entrare in un suspenser metafisico, una specie di giallo diverso da tutti i gialli. Nonché dal Bellocchio che conoscevamo: perché questa volta il regista immerge temi da sempre appartenenti al suo immaginario (la famiglia, l’ipocrisia che impregna i rapporti sociali) in un insolito bagno d’ironia nervosa, sospesa, che è la cifra di un film straordinariamente riuscito. Sorpreso dalla notizia, e ancor più dall’apprendere che la congiura tra i preti e i suoi famigliari dura da tre anni, il pittore scivola in una crisi depressiva. Se non ha mai amato se stesso, è perché ha il sorriso identico a quello della madre, la ‘beata’, morta per mano di un altro figlio: in realtà l’ambiguo sorriso da Gioconda di una donna insensibile, anaffettiva, cui Ernesto teme di somigliare. Intorno all’uomo in crisi, perno della storia, si muovono due universi concentrici: la sua famiglia e l’ambiente delle gerarchie vaticane, tra cardinali e nobiltà nera capace – ancora – di sfidarti a duello. Bellocchio rappresenta il secondo come un mondo d’ombre, popolato di zombi paludati e grotteschi, che non spiacerebbe affatto a Fellini [...]. Benché laico fin nelle midolla, ateo dichiarato, il pittore rischia di lasciarsi avvolgere da quel clima insinuante, limaccioso e mellifluo, capace di neutralizzare qualsiasi voce dissidente in un bigottismo di maniera sotto cui si celano cinismo e culto dei propri interessi (vedi il geniale personaggio di zia Maria, affidato a Piera Degli Esposti). Nella dimensione in cui Ernesto si ritrova a vagare anche gli angeli, come la bella insegnante di religione di suo figlio, che ha appena conosciuto e di cui si è innamorato, potrebbero essere agenti dell’Opus Dei; ma è proprio qui che l’uomo dovrà compiere una scelta radicale, mettendo in gioco la propria identità. Oltre al valore intrinseco del film, è bello vedere che Bellocchio non ha aperto i pugni che teneva stretti in tasca poco meno di quarant’anni fa. L’ora di religione è un film disposto a prendere posizione come pochi, risoluto, lontano le mille leghe sia dai compromessi ideologici, sia da quelli estetici.
Roberto Nepoti