copertina di Il Caso Goldman
6 settembre 2024, 21:30 @ Arena Puccini

Il Caso Goldman

(Le Procès Goldman, Francia/2023) di Cédric Kahn (115')

La storia vera del secondo processo a cui fu soggetto Pierre Goldman, militante della sinistra estrema francese nel 1975. Accusato di reati multipli, Goldman ammette tutti i capi d'accusa con la veemente eccezione di quelli per omicidio, per i quali non solo si proclama innocente ma si scaglia polemicamente contro tutto e tutti nell'aula di tribunale, rifiutando qualunque caratterizzazione moralistica della sua difficile vita.

  • César 2024 ad Arieh Worthalter per miglior attore;
  • Lumière 2024 ad  Arieh Worthalter per miglior attore;
  • Magritte 2024 ad Arieh Worthalter per miglior attore.

“Neanche una nota di musica, neppure sui titoli di coda; una drammaturgia lucida e incalzante, realistica e simbolica allo stesso tempo; attori poco noti in Italia, ma capaci di “indossare” gli anni Settanta senza sembrare camuffati; una fotografia livida e l’azione che si svolge quasi per intero, a parte due brevi parentesi, nell’aula di un tribunale.
I film processuali sono un genere per niente facile da maneggiare: piacciono di solito quelli americani, per le dinamiche psicologiche che innescano, ma vi assicuro che Il caso Goldman, nel suo estremo rigore di stile, non è da meno.
Storia vera. Pierre Goldman fu un militante di estrema sinistra la cui vicenda processuale molto riempì le cronache francesi a metà dei Settanta. Ebreo di origine polacca nato in Francia nel 1944, Goldman si rese responsabile, tra il 1969 e il 1970, di almeno quattro rapine a mano armata, una delle quali finita tragicamente con la morte di due farmaciste. Il “rivoluzionario”, cresciuto nel culto di Casto e Guevara, si professò colpevole per quattro di esse, ma negò recisamente di aver partecipato a quella del 19 dicembre 1969, siglata dal duplice omicidio. La condanna all’ergastolo arrivò nel 1974, ma due anni dopo, nell’aprile 1976, si celebrò ad Amiens un secondo processo, ed è da qui che prende le mosse il film di Kahn.
Fu l’amico e scrittore Jean Genet a suggerire a Goldman di scrivere in carcere una sorta di autobiografia intitolata Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia: e quel libro, a suo modo un atto d’accusa nei confronti dell’antisemitismo francese e insieme una dichiarazione d’affetto nei confronti della comunità antillana, torna come motivo di fondo in questo film.
Ma c’è anche chi tira in ballo Dostoevskij per spiegare la temperie spirituale, tra coerenza, fanatismo e schizofrenia dell’imputato.”

Michele Anselmi, Cinemonitor