copertina di Cento domeniche
1 luglio 2024, 21:45 @ Arena Puccini

Cento domeniche

(Italia/2023) di Antonio Albanese (94')

Antonio è giunto alla pensione dopo aver lavorato tutta la vita in un cantiere nautico; la sua vita si divide tra la compagnia degli amici, la madre anziana che ha bisogno delle sue cure e l'amatissima figlia Emilia, avuta dalla ex moglie, con cui peraltro è rimasto in ottimi rapporti. La notizia dell'imminente matrimonio della figlia lo rallegra tantissimo, soprattutto perché può finalmente utilizzare i risparmi per regalarle la cerimonia che merita. Quando però si reca in banca per fare il punto e verificare di quanto dispone, cominciano i guai: impiegati e direttori, sfuggenti, sembrano avere qualcosa da nascondere.

“Cento domeniche è lo sguardo nell’abisso, pedina il dolore sordo di un uomo che si sente improvvisamente perso, inadeguato e tradito. Che perde il sorriso, la serenità e infine il sonno.
È la grandezza di Antonio Albanese che destruttura la sua maschera dopo averla blandita nei primi minuti, che la scompone, la rompe in mille pezzi e lo fa rimanendo in scena quasi in ogni inquadratura e mostrandoci ognuna di quelle crepe. È un attore che sa interpretare l’insonnia, la paura, il lutto per un giovane e per sé, con un tremolio che è implosione e che entra sotto pelle anche allo spettatore.
L’asciuttezza e l’antiretorica della narrazione sta negli amici che gli rimangono vicino, che vogliono aiutarlo nel sogno, ma lui è già troppo ossessionato dall’incubo; è una figlia che non è più raggiante perché quell’uomo, dopo 27 anni di amore, le sta sfuggendo di mano.
L’abisso è smettere di vivere – “alcune delle vittime, per la vergogna non sono usciti di casa per mesi” e altri non ce l’hanno proprio fatta a sopravviverle - di rispondere al telefono a chi ami o semplicemente a chi ti rendeva felice, è scoprire che il “nostro piangere fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam” e che per quei borghesi, che siano il padroncino o la ricca fedifraga, non sei nulla. Anche se tu sei stato sempre disponibile, in tutti i sensi.
Si prendono ciò che è tuo, dopo averlo fatto per una vita intera.
Ma è anche un piccolo mondo antico che non si sfalda, che cerca una risposta unitaria, legalmente e psicologicamente. Non tradisce e non modifica la propria identità.
Sì, Antonio Albanese è un genio. Un genio coraggioso. Che ha raccontato chi non viene più rappresentato, una storia che si è ripetuta negli ultimi decenni centinaia di volte. Ma che al cinema non ha mai trovato spazio, come ormai non lo trova più il lavoro. Se non in alcune eccezioni chiamate Albanese, Riondino, Vicari.”

Boris Sollazzo, The Hollywood Reporter Roma