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Un lion à Paris
L’universo di Beatrice Alemagna, proprio come quello di Max Ernst, è calcolatamente sospeso tra sogno e realtà, ma senza che lo spettatore sia mai davvero indotto a compiere una scelta. Noi che guardiamo queste prospettive urbane, sappiamo che sono composte di infiniti brandelli di verità, sappiamo che case e strade, macchine e insegne, scale e finestre possono esistere proprio così. Ma sappiamo anche riconoscere un’atmosfera riassuntiva in cui la citazione, la memoria, l’ansia, il dubbio hanno un ruolo determinante. Lo spazio urbano dell’autrice è fatto dello spazio interiore che continuamente si riferisce a quanto è là, in fondo al viale, dietro al museo, su per la scala. C’è un rigore che si traveste da dolcezza, c’è una precisione concettuale che, nella sua limpida scansione parla, a volte, proprio il linguaggio dei sogni. In queste strade della memoria, in fondo, camminiamo tutti, mentre prendiamo appunti, mentre ci confrontiamo.