Cultura Bologna
copertina di As Bestas: la terra della discordia
6 settembre 2023, 21:30 @ Arena Puccini

As Bestas: la terra della discordia

(As bestas, Spagna-Francia/2022) di Rodrigo Sorogoyen (137') | Arena Puccini 2023

Regia: Rodrigo Sorogoyen
Interpreti: Marina Foïs, Denis Ménochet, Luis Zahera, Diego Anido, Marie Colomb
Origine e produzione: Spagna, Francia / Thomas Pibarot, Anne-Laure Labadie, Jean Labadie, Rodrigo Sorogoyen, Nacho Lavilla, Eduardo Villanueva, Sandra Tapia Diaz, Ignasi Estapé, Ibon Cormenzana, Arcadia Motion Pictures, Caballo Films, Cronos Entertainment, Le Pacte
Durata: 137’ 

Antoine e sua moglie gestiscono un'azienda agricola biologica in un villaggio della Galizia, la regione nord occidentale della Spagna. Sebbene la coppia francese stia facendo del suo meglio per integrarsi, la gente del posto li considera intrusi.

  • Premio Goya 2023 come miglior film, a Rodrigo Sorogoyen per la miglior regia, a Denis Ménochet come miglior attore protagonista, a Luis Zahera come miglior attore non protagonista, a Isabel Peña e Rodrigo Sorogoyen per la miglior sceneggiatura, a Álex de Pablo per la miglior fotografia, a Alberto del Campo per il miglior montaggio, a Olivier Arson per la miglior colonna sonora, ad Aitor Berenguer, Fabiola Ordoyo e Yasmina Praderas per il miglior sonoro

“Sorogoyen intende il suo cinema innanzitutto come dispositivo narrativo, congegno a orologeria in cui le immagini, la loro sostanza spazio-temporale siano esclusivamente lo strumento del racconto, e del raccordo tra le sequenze. In sala in questi giorni, reduce dal Festival di Cannes dell’anno scorso, l’ultimo film di Rodrigo Sorogoyen, As Bestas, è la conferma di questa garanzia narrativa intrinseca a tutto il suo cinema, anzi ne è l’esaltazione e la stratificazione, più che nei suoi film precedenti, tra cui, forse il migliore, Che Dio ci perdoni, solida, tesissima ricerca dell’assassino seriale.
Ecco, As Bestas radicalizza questi fattori narrativi, «investigativi» (delle possibilità stesse della narrazione: c’è nel film come un rivolgersi ai meccanismi interni della storia per verificarne o escogitarne il bilanciamento), soprattutto la tensione, la sospensione pericolosa, pericolante delle azioni, che è la chiave di volta di una partitura bilanciata in ogni suo movimento (forse fin troppo), tra preludi, l’incedere del motivo, pause e picchi improvvisi, quasi inattesi per quanto l’attesa, lo stallo sembravano essersi impossessati del ritmo del film.
È un meccanismo di continua permutazione della prospettiva, dell’angolazione da assumere, tant’è che si oscilla ora in favore di Antoine e sua moglie Olga – coppia francese istruita, ecologista, idealista –, ora improvvisamente per i due turpi fratelli Xan e Lorenzo dei quali non si può non condividere la frustrazione ed esasperazione per una condizione di povertà e di sacrificio perenni, quasi atavici, come atavica sembra essere la lotta di classe. Poi, capito il meccanismo (niente di particolarmente innovativo, ma molto persuasivo), il dualismo del punto di vista, si cede a questo senso ondivago, a questo continuo cambio d’ottica, con un che di malessere, di nausea per queste bestie in balia del caos, del loro cieco furore, di un’ostinazione senza senso, intenti ad annientarsi a vicenda in ottemperanza a qualcosa di innato, un risentimento sordo e furioso regolato dall’odore del sangue. Il procedimento è quasi matematico per quanto basato su un principio esistenziale; è una sorta di partita doppia, in cui i valori di una parte sono controbilanciati da quelli dell’altra, alla fine, soprattutto nella fine, senza la possibilità di individuare una parte che prevalga dal punto di vista etico. I coniugi all’inizio sono vittime dell’ignoranza e della violenza dei due fratelli che arrivano a sabotare il raccolto biologico dei francesi, borghesi, magari con il vezzo di cambiare vita, così, per moda. [...] Il conflitto è irresolubile, non solo per i personaggi del film, quanto per chi vi assiste, inerme, desolato, ancora lì a lambiccarsi il cervello e la coscienza dopo l’ultimo titolo di coda.”

Luigi Abiusi, Il Manifesto