Il cielo sopra Berlino
(Der Himmel über Berlin, Germania Ovest-Francia/1987) di Wim Wenders (130')
L’idea è sorta contemporaneamente da diverse fonti. Anzitutto dalla lettura delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. Poi tempo addietro dai quadri di Paul Klee. Anche dall’Angelo della storia di Walter Benjamin. D’un tratto ascoltai anche un brano dei The Cure che parlava di fallen angels [...]. Riflettevo anche su come in questa città convivano, si sovrappongano i mondi del presente e del passato, immagini doppie nel tempo e nello spazio, a cui venivano ad affiancarsi ricordi d’infanzia, di angeli in veste di osservatori onnipresenti e invisibili.
Wim Wenders
Ne Il cielo sopra Berlino c’è un ex-angelo che ha deciso di divertirsi facendo l’attore, è portatore di una saggezza pratica, gode di una buona reputazione tra gli uomini per le sue capacità di risolvere i casi più difficili, sa gustare i piccoli piaceri dalla vita, ha un fare paterno con coloro che si rivolgono a lui per avere consigli su come arrangiarsi, ha lo sguardo furbo di chi ha visto molto e capito: il tenente Colombo. Una figura della finzione diventa una sorta di presenza reale, conservando i propri connotati, quasi a colmare un vuoto di personaggi, una carenza di opportunità. Se da una parte Peter Falk rimane un oggetto cinematografico, una figura che sostiene narrativamente la presenza del cinema come momento di ulteriore riflessione, dall’altra egli propone una positività che si esprime semplicemente nella particolare forma di vita; egli è un naufrago disincantato, che lavora coscientemente con il travestimento, che gioca con gli oggetti e con la loro rappresentatività (come nella sequenza dei cappelli), che si ferma ad un chiosco e parla di cose concrete. È colui che è sceso dal cielo in senso letterale ed ora possiede la conoscenza, accompagnata da quel sorriso sornione che ammicca alla sua ambiguità di personaggio riconoscibile. Dietro di lui si muove la macchina del cinema, si costruisce un film, un noir ambientato nel periodo del nazismo, in una scenografia tarkovskiana fatta di sguardi, di detriti, di specchi d’acqua. Il cinema americano riaffiora, ma è quello classico, ‘puro’, che sapeva costruire storie meravigliose, che aveva restituito senso alla tragedia, al melodramma, all’avventura, che aveva inventato le atmosfere del poliziesco, del western, della commedia, che, attraverso le storie, la messa in scena, aveva creato le emozioni ed era riuscito ad essere dolce e spietato, ricostruendo tante passioni e tante crudeltà. Quel cinema non conosceva limiti all’invenzione, poteva raccontare qualsiasi cosa, senza problemi di spazio e di tempo; Wenders sembra volerlo ricordare, riportarlo alla luce, anche solo per indicare la ripetitività dell’oggi, lo svuotamento simbolico, la mancanza di intrighi. Il cielo sopra Berlino, come del resto tutto il cinema di Wenders, traduce la ricerca di un linguaggio che vuole ancora porsi come una delle interpretazioni del concreto, attraverso l’intensificazione dei propri elementi espressivi, attraverso un rapporto appassionato con le contraddizioni del mondo.
Angelo Signorelli