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copertina di Bologna Estate racconta #14

Bologna Estate racconta #14

In dialogo tra arte e natura la rassegna La Campeggia FS al Paleotto

In fondo a Rastignano, ai piedi delle colline bolognesi, tra filari di aceri, sentieri abbandonati e orti urbani, il parco del Paleotto ospita, tra le mura del suo centro culturale Paleotto11, una scritta tanto attuale quanto provocatoria: "abitare stanca”. E una domanda risuona nelle menti di chi vive e lavora in questo spazio. Cosa significa abitare oggi?

Alla sua seconda edizione, La Campeggia FS - Fare Spazio non è solo un festival di musica, arte e danza ma anche il frutto di una profonda riflessione sui temi del transfemminismo, dell’ecologia e dell’abitare. 

In dialogo tra arte e natura, tra il fare spazio e lo stare ai margini, vengono  alla luce nuove forme di convivenza e di appartenenza.
“Siamo ancora molto legati al bisogno di una casa, quel luogo chiuso che ci dà sicurezza, ma si fa strada l’idea di un abitare più semplice e leggero, nomadico e comunitario. Forse, prima ancora della casa, oggi abbiamo bisogno di una comunità” racconta Roberta Zerbini, presidente di Ekodanza, associazione capofila del centro culturale Paleotto11. 


Questa è la seconda edizione del festival La Campeggia FS - Fare Spazio. Com’è nata l'idea di questo progetto e quale significato ha il concetto di fare spazio nel contesto della vostra programmazione?

Il titolo è La Campeggia FS dove FS è un gioco di parole, un acronimo che di volta in volta, di edizione in edizione, prende la sua specificità. L'anno scorso, che è stato il primo anno, FS stava per Festival Sperimentale.  Quest'anno invece sta per Fare Spazio. 

Chi ha un’idea transfemminista vicino al pensiero della filosofa Donna Haraway sa benissimo che FS indica fabula speculativa, un modo di raccontare tipico del suo pensiero, cui noi siamo particolarmente legati. È per questo che abbiamo aggiunto questo acronimo, in modo che ogni anno lo possiamo declinare nella maniera più aderente possibile a quello che abbiamo dentro e alle nostre aspettative. Per esempio l'anno scorso abbiamo attraversato un periodo molto difficile che è stato quello dell'alluvione che ha fatto cadere la via del Paleotto. Il parco è diventato irraggiungibile. Poi c'è stato l'avvio dei lavori straordinari per il nodo di Rastignano che ha atterrato circa mille alberi e tolto dal paesaggio naturale del Paleotto parecchi ettari. Per noi ha rappresentato una ferita che dovevamo rielaborare, rimarginare e metabolizzare. Inoltre ha reso il nostro parco, già periferico, decisamente irraggiungibile. Abbiamo iniziato a scherzarci su dicendo: “visto che la gente non riesce a raggiungerci, una volta che lo fa tanto vale che campeggi”. Così è nata La Campeggia, rigorosamente al femminile perché il nostro pensiero è femminile, femminista, transfemminista.

 

Ma la gente si ferma davvero a campeggiare? 

L'anno scorso è stato difficile. Viviamo in un’epoca di iper comunicazione ma paradossalmente è stato complicato comunicare quest’evento. Anche a noi sembrava più un nome che una realtà. Non riuscivamo a far capire che si poteva campeggiare davvero. Quest'anno è stato tutto molto più semplice.

 

Il festival si svolge nel parco del Paleotto che è descritto come una porzione di terzo paesaggio. Come viene interpretata e valorizzata questa idea nel festival e in che modo la visione del biologo, scrittore e paesaggista Gilles Clément ha influenzato le vostre scelte? 

Posso dire che abbiamo incontrato il pensiero di Gilles Clément nel 2019 quando abbiamo rinnovato la convenzione del centro culturale del parco che noi come Ekodanza abitavamo già da tanti anni. La gestione si è quindi allargata ad altre associazioni legate agli orti comunali, alla polisportiva e ad altre realtà culturali vicine a noi. Abbiamo chiamato questo nuovo progetto Pensiero Stupendo. È il pensiero di Gilles Clément, il pensiero marginale, dei luoghi rifugio, delle erbacce. Per noi Gilles Clément rappresenta un sostegno culturale a tutto ciò che è margine, che è non produttivo, lasciato e dimenticato dall'uomo e perciò anche da tutti i danni che l'azione umana può fare. Il nostro è un parco ai margini e questo lo abbiamo sempre saputo. Essendo molto grande, 21 ettari di ecosistemi molto differenti tra loro, c’è una bella possibilità di osservare il paesaggio. Gli orti urbani sono un simbolo di socialità ma anche dell’agire dell'uomo sulla terra. Come i viali, ben tenuti e addomesticati. Il fiume porta con sé tutto quello che è successo in questi anni, inclusa la devastazione. Lungo la montagna invece ci sono molti sentieri abbandonati dove prima dell'alluvione le persone avevano creato un proprio modo di abitare, prendendosi cura dello spazio. Spazio che ben si adatta al pensiero di Gilles Clément che ci ha insegnato a non fare ma a stare insieme, a non produrre ma a stare in ascolto.

In questo periodo dove la società si alterna tra produzione e capitalismo da un lato e anticapitalismo dall’altro, noi ci poniamo nel mezzo. Gilles Clément ci ha insegnato a fare un po' meno, a non essere costantemente produttivi, a lasciare che le cose si facciano anche da sole.

 

Ekodanza è una compagnia stabile all'interno del centro culturale Paleotto 11 e gioca un ruolo centrale nell'organizzazione del festival. In che modo la danza si intreccia con l'ecologia e come questi due mondi apparentemente distanti dialogano nel contesto della vostra programmazione? 

Ekodanza nasce nel 1990 e dal 2019 porta avanti una riflessione legata al concetto di ecologia.

Da un punto di vista artistico ci stiamo appoggiando al paesaggio come luogo di pensiero. Qui entrano in gioco Donna Haraway e Laura Pugno, una poetessa italiana che parla di territorio selvaggio, di sentire il proprio corpo nel mondo. Per questo lavoriamo tanto all’esterno, in ambienti naturali. Viceversa cerchiamo anche di portare il riconoscimento del paesaggio dentro di noi, con la pratica corporea. C'è una forte associazione tra l'esterno e l’interno, tra il mondo naturale e il nostro sistema neurovegetativo che in realtà è molto simile al mondo naturale. Noi siamo natura.

Oggi in Italia molti artisti stanno lavorando in outdoor per favorire questo riconoscimento. Si cammina sulla terra perché il terreno va attraversato. Così ci insegna anche lo scrittore Matteo Meschiari. Camminare un territorio è diverso dal raccontarlo o dal guardarlo.

 

Uno degli elementi distintivi del festival è la possibilità di campeggiare all'interno del parco. Come contribuisce questo aspetto a un diverso modo di fruire la cultura e quale tipo di esperienza volete offrire ai partecipanti? 

L'idea è passare quattro giorni insieme, fruire dell'ambiente, della comunità, delle persone. Fare laboratori che siano pratici, dove si usano le mani o il corpo. Abbiamo riscoperto la necessità di usare la manualità e abbiamo proposto lavori con il tessuto, col filato, con l'argilla, riscoprendo la precisione del gesto. 

Verso l’imbrunire invece presentiamo le performance che devono essere semplici e poco invasive per non avere un impatto ecologico e rispettare l'ambiente che ci ospita.

Nei festival, soprattutto in quelli di danza, girano sempre gli stessi nomi. Invece in Italia (ma non solo) c'è una fertilità di artisti tale che bisognerebbe fare un festival al mese per riuscire a dare voce a tutti. Ecco, noi cerchiamo, per quanto possibile, di fare questo. 

 

Quindi la vostra ricerca si concentra su artisti minori ma di qualità piuttosto che su nomi, passami il termine, mainstream?

Assolutamente si. Perché la qualità è altissima. Io faccio questo mestiere da 40 anni e anche all'estero la qualità di un artista italiano si  riconosce subito. Ci sono stratificazioni nel nostro passato culturale ed artistico e queste stratificazioni le abbiamo interiorizzate. La cultura è veramente parte di noi. E nel lavoro questo emerge chiaramente.

E poiché il prodotto culturale non rientra in quel margine di cui parla Gilles Clément che è invece legato a un concetto di improduttività, noi cerchiamo di mettere il focus sui progetti più che sui prodotti, su quello che può essere solo se riusciamo a farlo insieme.

 

All'interno del parco c'è Paleotto 11. Come nasce questo centro di produzione culturale e come si inserisce la programmazione del festival all'interno della missione di Paleotto 11?

Paleotto 11 è un centro culturale, uno spazio del Comune di Bologna, perché sostenuto appunto dal comune di Bologna e dal quartiere Savena. È co-gestito da una rete di 11 associazioni, da qui il nome, che si sono ritrovate nel 2019 e hanno scritto un progetto insieme per avere la gestione di questo spazio. 

Nel 2023 tra l'alluvione e l'apertura del cantiere, questa rete di associazioni è rimasta un po' senza identità perché abitare il parco ora è molto difficile. Non è facilmente raggiungibile e non c'è un parcheggio. Sappiamo che quando un luogo non è facile da raggiungere, le persone ne restano lontane. In questo momento la nostra rete ha le maglie un po' larghe ma siamo sicuri che appena finiranno i lavori tornerà ad essere un network importante. Il centro culturale è dedicato soprattutto alla residenza artistica ed è un luogo di ricerca. Vogliamo dare la possibilità ai giovani artisti di stare, di creare, di procedere con il loro lavoro. Fare residenza per noi significa creare opportunità.

Solitamente apriamo alla cittadinanza questo spazio in maniera più consistente durante la bella stagione con il festival, ma le residenze ci sono tutto l’anno e rappresentano un’occasione di scambio con la cittadinanza.

 

Una curiosità: c'è una residenza, qualche artista che ti ha colpito particolarmente in questi anni? 

Ne ospitiamo davvero tantissimi, ma recentemente abbiamo avuto un artista che ha creato dei manufatti che si chiamano breve. Sono dei piccoli testi scritti in un foglietto e inseriti all'interno di un tessuto, che può essere un filato, un ricamo o una stoffa. È un po' come nascondere un messaggio all'interno di una trama. È un piccolo segreto.

Un'altra artista che ricordo molto bene perché ha portato un discorso significativo sull'abitare e sul nomadismo è Barb Bordoni. Ha studiato allo Iuav di Venezia, ha un pensiero transfemminista e un modo di fare arte camminando che si sposa col nostro sentire. Quando era qui stavano demolendo le case per fare spazio alla costruzione della nuova strada. Mettendo insieme i segnali che l'umano e il non umano lasciano nel parco, ha raccolto tutto ciò che rimaneva di queste abitazioni. Piccoli oggetti sopravvissuti al passaggio della ruspa. Ne è uscita un’esposizione molto curata ed elegante. È stato un progetto significativo in un momento significativo.

 

La campeggia Fs fa parte del cartellone di Bologna Estate 2024 e riceve supporto da diverse istituzioni. Qual è il ruolo di queste collaborazioni e come influenzano la realizzazione e l'impatto del festival?

Ekodanza è il capofila di questa rete di associazioni. Se lavoriamo da quasi 40 anni in questa città non possiamo non avere una buona relazione con le istituzioni e di questo siamo molto felici. Il Comune, la Regione, il quartiere, la Fondazione del Monte, l’università e le istituzioni in generale ci conoscono e ci sostengono. Aggiungo in una maniera che io trovo molto delicata. Noi abbiamo un carattere un po' schivo, difficile da arginare. Siamo un po' dei cavalli liberi e il loro modo di sostenerci è molto attento a garantire la possibilità di questa libertà. Senza il loro supporto molte nostre azioni non sarebbero potute esistere. La cultura va sostenuta dal pubblico, non può essere diversamente.

 

Hai toccato un grosso problema, quello del lavoro culturale in Italia. Pensando ad altri Paesi UE dove si spende di più per la cultura, forse si potrebbe cambiare qualcosa? 

In questo momento c'è una precarietà nel mondo del lavoro culturale che è terribile.

Noi non abbiamo una programmazione quotidiana, sarebbe impossibile. Il lavoro culturale è costosissimo. Si deve fare, bene, quello che si riesce perché le persone vanno pagate regolarmente. Sono sicura che molta gente non immagina neanche lontanamente quanto possa costare un festival di tre giorni. C’è uno sforzo enorme e quotidiano. È molto importante riconoscere che il lavoro culturale è un lavoro. Questo è un concetto che va tutelato ma anche coltivato nelle teste dei cittadini.

 

Le realtà culturali più piccole rischiano di non essere conosciute mentre il pubblico spesso si limita a vedere gli spettacoli o le mostre dei nomi più noti. Invece dovremmo inciampare nella cultura ogni giorno, dovrebbe far parte del quotidiano di una comunità.

Esatto. Dovrebbe rappresentare la quotidianità, come si va dal panettiere. 

 

Ultima domanda per l’ultimo appuntamento de La Campeggia FS: per le date dal 12 al 15 settembre cosa avete in programma? 

Un bellissimo momento di chiusura che coincide con l'apertura di una nuova stagione.

Giovedì 12 Settembre apriamo con una performance /installazione partecipata "Welcome Back" di ekodanza, dove 4 performer ( Silvia Brazzale, Martina Delprete, Lucrezia Rosellini e Ro Kamila Zerbini) agiranno lo spazio del centro culturale  creando un luogo atto ad essere visto, ascoltato, attraversato per consegnare poi al pubblico presente la possibilità di agirlo a loro volta restituendo ciò che è stato vissuto.

Il venerdì 13 invece sarà la volta dell’artista Milan Tomasik, coreografo e danzatore sloveno, curato da Michal Mualem che fa parte di una delle associazioni che co-gestiscono Paleotto 1. Il lavoro  di Tomassik sarà frutto di una residenza artistica che farà a settembre insieme a un gruppo di danzatric*.

Sabato 14 Settembre dedichiamo la serata alla parole, poetica, letta a voce alta e condivisa con tutti. Incontreremo la poesta Giulia Rossi che ci legge e presenta la sua raccolta di poesie Fuochi Fragili. a seguire l'ultimo appuntamento con DOSE, pratica di lettura a voce alta attorno al fuoco, ognuno può partecipare in modo libero e istintivo, leggendo o ascoltando.

Domenica 15 alle 19:00  si chiude la seconda edizione de  "La Campeggia FS"  con l'artista Simone Faraci, musicista siciliano che vive a Bologna. Ci prtesenta Xiamma è un'azione sonora che porta i temi del suo disco Mføku in una dimensione elettroacustica live, esplorando la ciclicità del tempo, la frammentazione percettiva e la tensione tra memoria e oblio, attraverso un rituale sonoro che fonde improvvisazione e manipolazione elettronica.

 

Laura Bessega per Bologna Estate