Rosa è una ragazza inquieta e ribelle, vive con sua nonna e suo zio in un paesino della Calabria, tra monti e fiumare secche. La sua quotidianità viene improvvisamente stravolta da qualcosa che emerge dal suo passato, un trauma che la lega indissolubilmente alla misteriosa morte di sua madre. Quando Rosa si ritrova vittima di un destino già segnato, decide di tradire la sua famiglia e cercare la propria vendetta di sangue. Ma quando questa famiglia è la 'Ndrangheta ogni passo può rivelarsi fatale.
“Rosa è una femmina, una sola, che vale tutte le Fimmine ribelli del libro inchiesta di Lirio Abbate Come le donne salveranno il paese dalla ‘ndrangheta (Rizzoli): è cresciuta con la nonna, matriarca d’acciaio, e con lo zio, perché sua madre «cantava» ed è stata messa a tacere con la violenza (la vicenda si ispira a quella di Maria Concetta Cacciola, uccisa con l’acido dopo essere diventata testimone di giustizia), quando Rosa era una bimba. Ora che è una donna, istruita dalla famiglia e da regole non scritte a stare al suo posto, domande e ricordi riaffiorano e accendono in lei una miccia destinata a far saltare tutto: l’omertà, la sottomissione, l’ineluttabilità di un sistema che nessuno ha il coraggio (o la convenienza) di scardinare. Opera prima in solitaria di Costabile, Una femmina racconta una Calabria aspra e crudele, avviluppata nel perpetuarsi di una violenza arcaica e brutale, dove Rosa si muove come un nero angelo vendicatore, un’altra donna con il vizio della speranza (Edoardo De Angelis co-firma il soggetto) in un orizzonte che non contempla femmine che alzino la testa.”
Ilaria Feole, “FilmTV”
“«La parola migliore è quella che non viene detta» sibila ad un certo punto don Ciccio, lo storico rivale della famiglia di Rosa, la protagonista dell’esordio di Francesco Costabile (Lina Siciliano, della quale l’obiettivo di Costabile raccoglie spesso il potentissimo sguardo di sfida). L’ambizioso e complesso apparato visivo strutturato dal regista e dal suo d.o.p. Giuseppe Maio sembra costruito proprio per restituire formalmente questa predilezione della cultura della ‘ndrangheta per le tensioni risolte con il silenzio, per le verità scolpite con i fatti, nelle pietre del paesaggio spigoloso e sulle rocce delle casette dei villaggi che si inerpicano tra le viuzze segrete, le scalinate, gli archi bui. Lo chiarisce da subito l’incipit a metà tra il sogno e la rievocazione d’infanzia, tutto reso attraverso un uso straniante e insistito del fuori fuoco. Nessuna delle soluzioni adottate dal racconto per immagini fatto da Costabile sarà mai quella più ovvia, quella più scontata – alcune apparizioni e alcune discese improvvise in quello che somiglia sempre più ad un incubo ancestrale di demoni e maledizioni lambiscono davvero il territorio del cinema dell’orrore, scavando la direzione del film in una terra di mezzo tra Anime Nere, A Chiara e quasi A classic horror story di De Feo/Strippoli.
Rosa, “femmina ribelle”, mette su un piano ingenuo e impulsivo, come la sua età d’adolescente, per vendicare la madre uccisa anni prima per aver tentato la fuga come collaboratrice di giustizia. La parabola della ragazza assume progressivamente i toni oscuri e violenti del canone classico della tragedia, con i volti e gli sguardi dei protagonisti che si fanno veicolo stilizzato dei rancori e delle rivalse messi in campo (e solo raramente dell’affetto, o dell’amore), prese di posizione millenarie sottolineate dai primi piani che si stagliano sulle ombre.”
Sergio Sozzo, “Sentieri selvaggi”