Mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l’anima di un sottoproletario della periferia romana e vi ho riconosciuto tutti gli antichi mali (e tutto l’antico, innocente bene della pura vita). Non potevo che constatare: la sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali, e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano. Perciò egli sogna di morire e di andare in paradiso.
Pier Paolo Pasolini
Il film intero si regge su questo personaggio bellissimo, profondamente sentito, felicemente espresso in tutta la sua complessità. Accattone è molte cose insieme: il secolare scetticismo romano, il relitto d’una società ancora rustica e artigianale, il prodotto di un’alienazione totale; ma è soprattutto l’espressione d’una sclerosi etica, di un’inconscia volontà suicida. [...] Il film è lento e insistito perché Pasolini vuole piuttosto rappresentare, ossia creare degli effetti, che narrare, ossia scatenare un ritmo. Pasolini è un regista serio, solido, tenace, intelligente e poetico che lavora sull’immagine come lavora sulla parola. Paragonato al suo linguaggio letterario denso e spesso prezioso, il linguaggio cinematografico di Pasolini potrà sembrare semplice e persino rozzo; ma questo contenutismo gli ha certamente giovato per dare più spicco a personaggi e ambienti da lui trop- po sperimentati e vissuti per essere trattati in maniera esornativa.
Alberto Moravia