Album “Gli anni del coltello”: immagini e documenti
Il sesto incontro del Gruppo di Lettura è dedicato all’ultimo romanzo pubblicato da Evangelisti prima della morte, Gli anni del coltello (Mondadori, 2021). Quest’opera è la continuazione di 1849. I guerrieri della libertà, uscito due anni prima sempre per Mondadori, i cui eventi si concentravano nel biennio 1848-1849 e raccontavano l’esperimento rivoluzionario della Repubblica romana. Gli anni del coltello copre invece il periodo successivo al fallimento di quell’esperienza, fino circa alla metà degli anni Cinquanta del XIX secolo. La spiegazione del titolo si trova nelle prime pagine del romanzo:
«“Secondo me cominciano gli anni del coltello”.
“Cosa vuoi dire?”
Gabariol non rispose. Il suo pensiero inespresso era che, dopo una sconfitta e nell’impossibilità di riprendere una guerra aperta, fosse il momento di punire il nemico in maniera silenziosa ma sistematica. Di spaventarlo con un’armata segreta che, a furia di esecuzioni individuali, spargesse il terrore nel campo avverso, lo costringesse alla confusione e desse coraggio ai resistenti. Fino al momento della riscossa decisiva, che nessun esercito, decimato nei quadri civili e militari, pieno di paura, avrebbe saputo fronteggiare» (p. 18-19).
Protagonisti dei due romanzi citati sono il ravennate Folco Verardi e il forlivese Giovanni Marioni detto Gabariol, che poi per ragioni di sicurezza assumerà il nome di Goffredo Zambelli. I due sono i padri rispettivamente di Attilio Verardi e Giovanni Zambelli, due dei personaggi da cui prendeva le mosse la trilogia Il Sole dell’Avvenire. I due romanzi del 2019 e del 2021 costituiscono quindi il prequel di questa trilogia. Si va quindi a comporre un grande affresco - a cui forse manca il tassello di un sesto romanzo mai scritto a causa della morte di Evangelisti - che racconta un secolo di storia italiana con gli occhi di chi il potere non lo detiene, anzi spesso lo subisce e lo combatte in nome di idee rivoluzionarie e egualitarie.
Evangelisti si era già confrontato con il tema risorgimentale nel racconto lungo La controinsurrezione, uscito nel 2008 in un volume dal titolo Controinsurrezioni che conteneva anche un racconto di Antonio Moresco. In occasione della pubblicazione di 1849. I guerrieri della libertà era uscita anche una nuova edizione riveduta del testo di Evangelisti, con il titolo leggermente modificato Controinsurrezione.
Di Gli anni del coltello è uscita al momento la sola edizione citata in precedenza, a cui fanno quindi riferimento le citazioni di pagine specifiche. Le citazioni tratte da 1849. I guerrieri della libertà rimandano all’edizione Mondadori del 2019 (il romanzo è stato ripubblicato dallo stesso editore due anni dopo).
Don Pirlone a Roma - L'ora fatale per Pellegrino Rossi
In realtà questa vignetta assomiglia a quella descritta da Evangelisti, ma non è uguale. Non c’è lo scheletro di Rossi adagiato alla base della scalinata, ma c’è uno scheletro che trasporta il corpo di Rossi, ancora vivo, ma circondato da segnali di morte e per il quale sta chiaramente per scoccare «L’ora fatale», come recita la didascalia. Ci sono però sufficienti elementi per ritenere con una certa sicurezza che Evangelisti stia facendo riferimento a questa immagine: il Ministro e uno scheletro, la scalinata della Cancelleria (cioè appunto del Consiglio dei Deputati come scritto sul muro), la carrozza.
D’altra parte, dove andare a “pescare” quest’immagine lo suggerisce lo stesso scrittore quando nella bibliografia ragionata che chiude il romanzo scrive: «Di Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 2 voll., Tip. Alessandro Fontana, Torino 1850, ho utilizato alcune caricature, che ho descritto» (p. 244). Michelangelo Pinto (sul quale si veda Mario Marino, L’Archivio Pinto del Museo Centrale del Risorgimento, nel già citato La satira restaurata, p. 19-39) fu un politico molto attivo all’interno della Repubblica romana e, soprattutto, uno dei fondatori del «Don Pirlone». Alla caduta della Repubblica dovette riparare in esilio a Torino dove scrisse e pubblicò l’opera in tre volumi citata da Evangelisti in bibliografia, che altro non è che una narrazione della nascita, vita e dissoluzione del governo repubblicano nell’Urbe. Narrazione compiuta con le parole ma anche con frequenti vignette poste ad illustrazione del testo: la stessa formula del «Don Pirlone» - ma con un taglio che rinuncia quasi del tutto all’ironia e al sarcasmo per votarsi alla documentazione memorialistica - che non a caso veniva citato anche nel titolo dell’opera.
Nel primo volume troviamo l’immagine che Evangelisti cita nel romanzo (è la tav. XL), ad illustrare la morte di Pellegrino Rossi che chiude il capitolo IV. Online è possibile leggere l’introduzione al Don Pirlone a Roma e le pagine che precedono e seguono questa tavola: si può notare, fra le altre cose, che l’uccisione di Rossi è descritta, all’inizio del capitolo V, in maniera molto simile a come lo scrittore la racconta nel romanzo.
Quindi, perché Evangelisti nel romanzo sceglie di descrivere questa vignetta e non quella realmente uscita sul fascicolo del 17 novembre che Folco acquista? Di sicuro non si tratta di una svista: mettendo Don Pirlone a Roma in bibliografia dimostra di conoscere l’opera e quindi di sapere che quelle vignette non sono le stesse uscite sul giornale. Possiamo pensare che Evangelisti non avesse accesso al «Don Pirlone» e che quindi dovesse “accontentarsi” dell’opera di Pinto? Non abbiamo certezze. Come già detto, oggi i numeri della rivista si trovano online, ma non sappiamo da quanto tempo siano disponibili. D’altra parte però il giornale è presente integralmente sia in Archiginnasio che alla Biblioteca Universitaria di Bologna (oltre che in altre biblioteche italiane) e quindi di facile consultazione.
Non se ne può avere la certezza, ma sembra estremamente probabile che Evangelisti scelga volontariamente di “distorcere” leggermente la realtà storica, mettendo sul «Don Pirlone» del 1848 una vignetta pubblicata due anni dopo. Anche sui motivi di questa scelta possiamo interrogarci senza l’ambizione di raggiungere granitiche certezze, ma se si interroga il romanzo è ben chiaro che l’uccisione di Pellegrino Rossi è l’evento decisivo di quel segmento della narrazione, la scintilla che poi conduce alla rivolta del 16 novembre e che mette in moto la parte conclusiva del processo che porterà alla proclamazione del governo repubblicano, che si avvantaggerà proprio del vuoto di potere seguito alla morte del Ministro plenipotenziario. Porre a quel punto quella vignetta non fa altro che ribadire l’importanza simbolica e concreta di quell’omicidio, a cui fra l’altro i protagonisti del racconto prendono parte.
Che il romanzo storico sia l’esempio maggiore dei «componimenti misti di storia e d‘invenzione» lo ha spiegato Manzoni e quindi non ci sorprendiamo che anche Evangelisti, quando necessario al suo racconto, ricerchi la verosimiglianza più che la verità storica (e in questo potrebbe rientrare anche la discrepanza esistente tra la descrizione della vignetta dello scheletro fatta da Evangelisti e la vignetta stessa). Il caso descritto però è curioso e interessante dal nostro punto di vista perché esemplifica come sia possibile “smascherare” questa “manipolazione” delle fonti attraverso un’indagine accurata sulle stesse e sulla loro reperibilità, in seguito alla quale è possibile interrogarsi sulle motivazioni che hanno condotto lo scrittore a fare questa scelta. In questo modo e accumulando altri esempi - non è questa la sede per farlo e soprattutto per spingere l’analisi a un livello più strettamente “letterario” - è forse possibile mettere in luce qualche aspetto del lavoro di un autore, soprattutto di uno scrittore come Evangelisti, che altrimenti rimarrebbe non colto.
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Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 3 voll., 2. ed. ma rist., Torino, Stab. tip. di A. Fontana, 1850.